RITRATTO DI PAESE
Un’intervista con Sabine Breitsameter
Da cosa è scaturita l’idea di comporre un brano come “RITRATTO DI PAESE”?
RITRATTO DI PAESE è nato in una notte. In quel periodo Gattaiola, il piccolo paese dove vivo, attraversava una situazione critica; l’amministrazione locale aveva approvato il progetto di costruzione di un nuovo tratto autostradale, che sarebbe servito a risolvere i problemi di viabilità a Lucca, distruggendo così alcune zone bellissime della campagna e inquinando dovunque; un progetto senza senso, che non avrebbe risolto i problemi del traffico. Sentivo di avere il dovere di scrivere qualcosa sul paesaggio, qualcosa per le generazioni future. Ripensai a tutte le storie che avevo sentito raccontare a mio padre e a mia nonna su Gattaiola, fin da bambino; al momento cercavo idee per una nuova opera, dopo l’esperienza de “IL TEATRO DEL FARO”, una specie di racconto fantastico per il teatro sperimentale, un viaggio allegorico con cavalieri, principesse, castelli… pensai che l’idea del documentario avrebbe creato un ottimo contrasto con l’opera precedente, specialmente per il testo, basato esclusivamente su interviste; questa idea era veramente nuova nel mio modo di fare musica. Così è nato “RITRATTO DI PAESE”. Devo aggiungere che in seguito i lavori all’autostrada sono iniziati, per interrompersi poco dopo; i politici coinvolti furono riconosciuti colpevoli di corruzione, certamente non grazie alla mia opera, ma alle persone che combatterono unite contro l’amministrazione.
Quali materiali sonori hai usato e in quali circostanze li hai registrati?
Soprattutto ho utilizzato interviste fatte agli anziani di Gattaiola. Ho chiesto montagne di informazioni a mia nonna e ai suoi amici di un tempo su come vivevano da giovani; mi hanno parlato della loro vita, dei ricordi, delle loro storie personali e collettive; mi hanno raccontato dei cibi e delle festività religiose… alla fine avevo registrato così tanti materiali che era impossibile usarli tutti. Ho poi usato suoni di campane di chiesa, alcune parti vocali di “Ave Maria Gratia Plena” un mottetto di Josquin Deprez, suoni di temporale, gong, pochi accordi di pianoforte, trattamenti elettroacustici. Le voci delle persone vengono trattate come se fossero frasi musicali.
Questi i pochi elementi su cui è basata la composizione.
Quale filosofia sta dietro all’opera?
L’idea formale del documentario è solo un pretesto per creare un lavoro diverso dalle mie produzioni precedenti; in realtà devo dire che RITRATTO DI PAESE è un’opera sui temi della memoria, della metamorfosi e sui cicli vitali; al tempo stesso diventa una specie di epopea di Gattaiola, proprio perché le storie personali diventano storie universali, la storia di tutta l’umanità. Con un po’ di immaginazione, le voci della gente del paese diventano voci di fantasmi lungo le acque dell’Ozzeri (il canale per l’irrigazione) che parlano della storia di Gattaiola, dell’Italia, di tutto il mondo. Dal punto di vista etnografico, considero “RITRATTO DI PAESE” un importante documento sulla terza età e sulla memoria, proprio perché parla di una parte di storia moderna di cui i libri non parleranno mai. Dal punto di vista filosofico, l’opera si basa sull’idea che la storia ha un cammino circolare, ma in eterno cambiamento; intendo dire che ogni qualvolta che gli eventi vanno a ripetersi non sono esattamente gli stessi di prima; nella teoria di Eraclito noi cambiamo e non cambiamo, tutte le nostre azioni sono un piccolo passo verso il gradino successivo, in un processo senza fine. Per me l’artista è colui che ha la coscienza di questo moto e che lo può descrivere nel suo lavoro. I racconti di “RITRATTO DI PAESE” sono trattati non come una celebrazione dei bei vecchi tempi, ma come semplici eventi di persone la cui storia si cancellerà per sempre. Ciò che rimane è memoria. Un giorno un vecchio nastro ritrovato sarà la prova dell’esistenza di un gruppo di persone che un tempo sono vissute, hanno lavorato, hanno amato, sono morte. E tutto questo sarà utile a qualcun altro.
Si avverte nell’intera opera la presenza della morte, all’inizio come alla fine quando il coro intona l’amen, nel mezzo, dove inquietanti colpi di gong sovrastano una debole voce; nelle voci stesse e nei racconti di persone non più fra noi.
Come si inserisce “RITRATTO DI PAESE” nel tuo lavoro globale?
RITRATTO DI PAESE è la prima parte di un work in progress su quattro momenti nella vita dell’uomo. Nel progetto globale mi sto interessando alla possibilità di utilizzare strutture classiche applicate a temi generalmente ispirati dalla vita di tutti i giorni; utilizzo voci di gente comune, invece che di attori professionisti o cantanti; e queste voci non parlano di grandi eventi e passioni come nell’opera lirica, ma di situazioni comuni, compreso fatti poco interessanti. L’idea di ascoltare la voce della gente mi ha gradualmente cambiato il punto di vista e mi ha messo in contatto con persone a volte veramente diverse da me; ma una canzone, una storia hanno il potere di unire personalità veramente differenti e di farle sentire “insieme”. Come dicevo, “RITRATTO DI PAESE” è la prima parte di un work in progress su quattro momenti nella vita dell’uomo; questo ciclo è visto in senso anti-orario. “RITRATTO DI PAESE” è l’opera dedicata alla vecchiaia e alla comunità; la seconda parte, “I VIAGGI DI BEPPE”, è un’opera sull’età di mezzo e la solitudine, attraverso i racconti di Beppe, un mio caro amico che parla dei suoi viaggi, delle sue donne, di ecologia, e canta canzoni da lui scritte; il terzo lavoro, LEZIONI DI MUSICA, progettato per il prossimo anno si baserà sulle esperienze di ragazzi di venti anni, soprattutto studenti; un’opera sui temi della gioventù e della coppia; infine sto progettando LA CITTA’ DEI CARILLON, ancora sul tema della comunità, ma questa volta sulla comunità dei bambini europei, con le loro voci che parlano lingue da diverse parti di Europa, combinate in una grande polifonia linguistica.
Possiamo aggiungere a questo ciclo “CANZONI NATURALI” che riassume questi temi partendo dall’idea che vecchiaia e fanciullezza sono divise dall’oceano; e molti altri brani, musica da camera, composizioni elettroacustiche, canzoni e poesie… I temi a cui sono interessato sono piuttosto costanti nei miei lavori; ciò che cambia completamente è la forma.
Cosa significa per te fare musica e qual è la tua concezione musicale?
Per me la musica è la mia vita, non riesco a dividere me stesso dall’idea di musica. Per quanto riguarda la mia concezione, credo che la musica non debba rinunciare al suo potere magico di portare l’ascoltatore in un’altra dimensione; penso a molte produzioni di compositori di oggi che scrivono solo per loro stessi; musica che non vuole comunicare nulla e che è così lontana dalla gente; non voglio dire che la musica dovrebbe dare facili emozioni, questo sarebbe certamente un errore; ma l’arte deve offrire alcune chiavi di interpretazione; possiamo utilizzare tutte le forme che vogliamo, possiamo esplorare e inventare nuove tecnologie, fare le sperimentazioni più ardite con tutti gli strumenti esistenti; ma alla fine ciò che vogliamo dire deve essere chiaro e riconoscibile; per me la musica è molto più che un linguaggio; come dice Sainte-Colombe nel film di Corneau “Tout les matins du monde”, la musica è capace di risvegliare i morti; la musica deve tornare alla gente, deve entrare nella nostra vita.
Vorrei fare un esempio: nel 1992, con l’aiuto del Comune e della Provincia di Lucca, ma soprattutto con la collaborazione disinteressata della gente di Gattaiola realizzai RITRATTO DI PAESE in versione di installazione in una zona di Gattaiola, in un bel prato ricoperto di olivi; era così possibile ascoltare la storia del paese dalla voce dei paesani esattamente nei luoghi dove molti anni prima tali eventi erano accaduti. Molte persone parteciparono a questo progetto con grande soddisfazione, perché in fondo lavoravano a qualcosa che riguardava le loro proprie famiglie; non era importante per loro se questa era musica sperimentale o meno. Ma il fatto più incredibile fu che da quell’evento hanno cominciato ad organizzare una festa paesana che si ripete due volte l’anno in quel prato; le persone trascorrono il tempo assieme, organizzano pic-nic e corse di biciclette, ascoltano concerti di musica popolare, trascorrono una giornata diversa in mezzo alla natura; gente un tempo divisa da vecchi litigi, lavorano oggi assieme per la vita sociale del paese. Ciò che è incredibile è che tutto è nato da un progetto di musica contemporanea!
Così posso dire che per me l’arte deve essere educativa. La musica è come noi siamo.
Come classificheresti il tuo modo di espressione? Perché?
Il mio modo di esprimermi al meglio è quello di realizzare opere che non abbiano a che fare solo con il suono, ma anche con le immagini, la poesia, l’azione, o altro, come nel teatro e nel cinema. Ogni qualvolta che mi sono trovato a dirigere lavori utilizzando materiali extra-musicali, come ad esempio ne “IL TEATRO DEL FARO” con diapositive in dissolvenza, o in “CANZONI NATURALI” dove ho realizzato una scenografia fatta di fotografie e suoni d’acqua dal vivo, ho usato gli stessi metodi di proporzione che impiego in musica; il ritmo è molto importante. Generalmente utilizzo la tecnica del contrappunto applicata a tutti gli elementi, suono, immagine, testo, ecc., e devo dire che il risultato finale è molto soddisfacente. Ogni volta che termino un’opera e che la riascolto, ho la sensazione di riascoltare proporzioni ritmiche simili a quelle della natura, come lo scorrere dei fiumi, l’ondeggiare delle foreste, le scosse dei terremoti, e così via; qualunque strumento o suono decida di impiegare, violino o pietre sonore, chitarra elettrica, suoni d’acqua, voci di persone o computer-music, cerco di imitare il grande contrappunto della natura. Non mi interessano strutture artificiali che sono il risultato di calcoli astratti. Quando compongo mi sento non tanto come un compositore quanto come un regista o un pittore, e quando faccio fotografie o la regia ad una performance mi sento veramente come un compositore.
Ho grande ammirazione per Stanley Kubrick; egli riesce a realizzare opere completamente diverse, senza rinunciare al suo stile personale; film polizieschi, fantascientifici, storici e così via, ma si può sempre notare la sua mano; un po’ come nel Rinascimento, quando gli artisti componevano opere sacre e profane, canzoni e sinfonie. Questa concezione dell’arte si è persa durante il Romanticismo, e si sta riscoprendo oggi. Questo è anche il mio modo. Voglio creare una serie di lavori diversi, esplorando le diverse forme che mi vengono offerte, e inserirle in un contesto avanguardistico. Diverse espressioni, ma nel mio stile.
Parlami del tuo curriculum-vitae e della tua educazione musicale.
Sono nato a Lucca nel 1963, ho studiato musica fin da quando avevo 11 anni; ho studiato chitarra, e all’età di venti anni, dopo il liceo scientifico ho iniziato a fare concerti in gran parte di Europa con il “Trio Chitarristico Lucchese”; fin da bambino mi piaceva comporre canzoni e musica pop-sperimentale; i gruppi preferiti erano Pink Floyd, Genesis, Van Der Graaf Generator, Gong, e poco a poco iniziai ad ascoltare musica contemporanea; ma gli esempi che mi entusiasmavano di più venivano dalla musica sperimentale. Dall’età di venti all’età di trenta anni ho studiato composizione nel conservatorio della mia città e mi sono diplomato sotto la guida di Pietro Rigacci. Nel 1988 ho incontrato Alvin Curran, ho preso alcune lezioni da lui, e presto sono diventato suo assistente nei due lavori “Crystal Psalms” e “Tufo Muto”; questo è stato per me l’inizio di un nuovo itinerario, perché finalmente avevo l’occasione di lavorare al fianco di uno dei miei compositori preferiti; devo dire che questo contatto è stato molto importante per me, non solo dal punto di vista culturale, ma anche umano; considero Alvin come un insegnante e un amico.
Riguardo alle mie composizioni…ho scritto molta musica, soprattutto opere elettro-acustiche e multi-mediali; ho partecipato a festival in Italia e all’estero. RITRATTO DI PAESE ha ottenuto il Prix Macrophon ’91, alla radio polacca. Attualmente faccio concerti, progetti per la radio, e insegno chitarra e composizione alla Civica Scuola di Musica di Capannori.
Hai legami sentimentali con la radio?
Mi piace la radio, la considero come una specie di scatola magica che può stimolare la fantasia delle persone. Mi ricordo quanto era interessante e affascinante per me ascoltare alla radio i concerti di musica contemporanea, dieci anni fa, e come Audiobox, il programma di arte sonora sperimentale suonasse strano, i primi tempi che mi sintonizzavo; ho imparato molto ascoltando la radio… ma non posso dire che al momento ho dei legami sentimentali con essa, perché ho scoperto il suo potenziale solo recentemente. Dieci anni fa, quando ascoltavo per la prima volta “A Piece for Peace” di Alvin Curran, non mi rendevo conto del vero significato della radio, la ascoltavo semplicemente e pensavo: mi piace, non mi piace. Ho più legami con i dischi e i nastri, che per molti anni sono stati i miei migliori insegnanti di composizione, anche perché quando ero più giovane erano i mezzi migliori di diffusione della musica pop che era la mia, la nostra musica, la musica che ascoltavo da studente di liceo con gli amici.
C’è un’altra importante ragione; per me la radio è un buon mezzo di espressione, ma ho bisogno del contatto con le persone; preferisco i concerti e il teatro, o il cinema, dove…O.K., non c’è contatto con la gente nel cinema, ma ci sono le immagini e sento questa una forma d’arte veramente completa.
Hai altro da aggiungere?
Mi piacerebbe dire ancora alcune parole sulla struttura di RITRATTO DI PAESE. L’opera è divisa in sette sezioni concepite come variazioni su di un tema; i pochi elementi di cui ho parlato prima, ovvero le voci della gente, i rumori del temporale, le campane di chiesa e le parti corali, si ripetono e si combinano in un grande contrappunto. All’inizio, nella prima sezione, tre donne, Iolanda (mia nonna), Uliana e Nelia parlano delle grandi coltivazioni di meli nei campi dell’Ozzeri, e sul metodo di irrigazione usato a quei tempi; le voci appaiono e scompaiono come fantasmi, su suoni di temporale e sulla parola amen, che costituisce una specie di leitmotiv. Nella seconda sezione, Severino (il pastore) parla della sua vita e, soprattutto, delle festività religiose come la “Festa del Gesù Morto” una processione in cui veniva ricostruito il Calvario e veniva rappresentata una pantomima della crocifissione, in periodo pasquale. Nella terza sezione, mia nonna parla del suo matrimonio; racconta di come furono la cerimonia e il viaggio di nozze a Firenze in automobile (un’avventura molto chic all’epoca, poiché di automobili ce ne erano pochissime); la storia è accompagnata dai suoni di campane di chiesa trattati elettronicamente. La quarta sezione parla dei confini geografici di Gattaiola, attraverso la voce di Ernesta, che disegna una specie di antica mappa del paese; si ascolta di nuovo la fascia sonora dell’amen con battiti cupi di gong e suoni di temporale. La seguente sezione si basa esclusivamente su suoni di temporale trattati elettronicamente; un paesaggio sonoro fantasmagorico in cui i suoni naturali si trasformano in maniera alchemica in fasce sonore. La sesta sezione è una specie di antifona; un coro di personaggi che parlano, recitano vecchie poesie popolari, cantano, contrastandosi e combinandosi in contrappunto. Il ritratto di Gattaiola si completa nella settima e ultima sezione, dove tutti i personaggi cantano, ognuno una canzone diversa, mentre il coro intona nuovamente l’amen; l’opera termina con i suoni di temporale, come all’inizio, e il gong.
Infine, vorrei dire i nomi di queste persone: Iolanda, Uliana, Nelia, Severino, Ernesta, Marino, Eni, Liliana; molti di loro non sono più fra noi; a volte quando passeggio per i campi di Gattaiola sento le loro voci, sento la loro presenza. Vivono ancora nella memoria collettiva del nostro paese.
La storia di Gattaiola è la storia di un luogo come molti altri, un luogo dove la gente vive il ciclo della propria esistenza; ricordo una frase nel film “Barry Lindon” di Stanley Kubrick, che mi ha colpito molto e che si potrebbe adattare a RITRATTO DI PAESE; la frase suona più o meno così: tutte queste persone, buone o cattive, belle o brutte, ricche o povere, adesso sono tutte uguali.
SFB Hörspiel Abteilung, 3 Aprile 1995