Per grande ensemble
Città. Luogo d’incontro, luogo da cui fuggire e in cui rifugiarsi. Città come centro, divisione e mondo intero. Contrappunto di spazi sociali infiniti. Non c’è crescendo, ma continuità e sospensione, flusso d’informazione, un’idea di semplice, primitivo ascolto, senza chiedersi il perché. Aprirsi all’armonia urbana, alla mappa sonora che scaturisce dalla stratificazione degli eventi all’interno della comunità. Città come somma e sottrazione. Come concerto. Festa.
Senza titolo (Parte I) (0’41”). Una persona cammina su di una strada fischiettando una vecchia melodia popolare polacca.
Armonie Urbane (29’12”). Partitura per orchestra mista formata da un gruppo rock, un gruppo jazz, strumenti classici, voci, campane di chiesa. Un brano ispirato alla metropoli. Progetto commissionato dal “Teatro del Giglio” di Lucca per il 1° Maggio 1997, è stato successivamente rielaborato in studio. “Armonie Urbane” è un brano in cui tutti possono suonare: professionisti, studenti, “non-musicisti”, senza alcun limite di età, fondendo nello stesso contesto, blues, rap, trash, contrappunto, improvvisazione e radio-art.
Megaphono (11’50”). Una grande piazza vuota con colonne e scalinate, come nei quadri di De Chirico o nelle scenografie di Greenaway. Un passante solitario sembra scappare via. Una strana, inusuale macchina si muove lentamente al centro della piazza, disturbando la quiete con un costante flusso di rumore, rifiuti sonori, informazioni elettroacustiche. “Megaphono” è la personale visionaria interpretazione del compositore dell’ambiente in cui oggi viviamo, un’amplificazione del mondo attraverso suoni di dischi rotti, un trombone felliniano che suona semplici e stonate melodie, frammenti violenti, chitarre che eludono heavy-metal, altoparlanti grandi e piccoli ovunque. Una specie di solenne concertato a metà strada fra Russolo, Cage e Purcell. Concepito come brano radiofonico, così come live-performance, “Megaphono” sembra perdersi nella “rete” di programmi DJ, onde radio, jingles, segnali dall’estero e ricerca elettroacustica, ricreando una sorta di paesaggio sonoro allucinato alla “1984” di Orwell.
Senza titolo (Parte II) (3’30”). La vecchia melodia polacca è cantata da una cantante non professionista e ri-orchestrata per 4 violoncelli. “Faraffà” (5’54”). Brano jazz in stile anni Sessanta.
Idea e musica: Stefano Giannotti
Eseguito da: Ensemble IL TEATRO DEL FARO, VAGA ORCHESTRA, SAXOPHONIA
Linda Matteucci, Linda Di Martella Orsi: flauti
Michelangelo Rinaldi: oboe
Giancarlo Rizzardi, Ilenia Dinucci, Ombretta Pacini, Giorgio Fabbri, Simone Stefani, Andrea Sodini, Emilio Cervelli, Massimo Cecchi, Daniele Simonetti, Pierpaolo Iacopi: sassofoni
Davide Guidi: trombone
Marco Fagioli: basso tuba
Lara Vecoli: violoncello
Pierluigi Papeschi, Laura Galli, Renato Ceccherelli, Fabiano Guidotti, Mirko Federighi: electric chitarre
Stefano Giannotti: chitarra elettrica, piano, fisarmonica, harmonium, harmonica, voce, direzione
Marco “Trash” Sabattini: chitarra elettrica, voce blues
Federico Resenauer: tastiera, voce rap
Daniele Gargini: basso elettrico
Alessandro Matteucci: batteria
Miroslaw Rajkowski: fonemi
Gabriela Lukomska, Giulia Rivieri, Franco Russo: voci su nastro
Leo Moll: tape loops
Marco Banti: Sound engineer
Prod. Stefano Giannotti, “Vaga Orchestra”, Leo Moll, SFB Hörspiel Abteilung, Martin Nimbach, Tullio Angelini
Dur: 51’07”